Nel 2067 gli umani saranno «più pacifici e contenti che mai: la violenza è sconfitta dalla compassione, la depressione curata dall’intimità, e i giovani sono stati protetti dagli orrori del passato». Parola della Bbc. L’atrocità peggiore? Nonni e genitori erano mangiatori di carne, o meglio di «fratelli». Perché tra cinquant’anni saremo tutti vegani, assicura il «mockumentary» The Carnage (La carneficina), film esilarante ma pieno di dati veri, girato da Simon Amstell e pubblicato online dalla tv britannica. In pochi mesi, è diventato un cult: il nuovo manifesto della Crociata vegan.
Vegan Style
Essere vegani non è mai stato così di moda. Al bando le figure tristi ed emaciate, «rivoluzionari seduti intorno a cibo marrone» del secolo scorso. Oggi il «vegan style» promette fisici sani e coscienza pulita. Gli allevamenti, sostiene l’Onu, producono il 14,5% delle emissioni globali di gas nocivi per l’ambiente; se tutto il mondo smettesse di nutrirsi con carne, pesce e derivati, le emissioni alimentari complessive, responsabili di un quarto dei gas serra, si ridurrebbero del 70% entro il 2050, conferma una ricerca dell’Università di Oxford. Il boom mondiale non poteva che partire dalla Gran Bretagna, dove nel 1944 Donald Watson coniò il termine e fondò la Vegan Society: qui gli adepti sono aumentati del 260% in dieci anni, le vendite di cibo vegano del 1.500%. Il resto del pianeta segue: se nei Paesi asiatici la sfida è facile, per tradizione gastronomica e abitudine a prendere ordini dall’alto — la Cina si è impegnata a dimezzare i consumi di carne — in Europa la svolta è dettata principalmente da un trend che sta conquistando i più giovani.
Il boom italiano
In prima fila l’Italia dove i vegani, dice Eurispes, sono triplicati in un anno: erano poco meno dell’1% nel 2016, ora sono il 3%. Un milione e ottocentomila persone che consumano latte di riso, burger al tofu e una miriade di altri piatti (più appetitosi) a base di verdure, legumi e frutta. Vegano è «hot». Lo hanno scoperto star del calibro di Brad Pitt, Ariana Grande, Miley Cyrus, Stevie Wonder e Beyoncé. Ma soprattutto lo hanno testato gli atleti: mangiare bistecche fa male alla performance sportiva, assicura Lionel Messi, che ha bandito la carne durante la stagione calcistica. Venus Williams preferisce definirsi «cheagan» (una vegana «cheating», imbrogliona) perché ogni tanto sgarra la dieta. Testimonial di lusso non sempre benvenuti dai puristi. «Chi sceglie di diventare vegano solo per ragioni egoistiche, come migliorare la performance o perdere peso, spesso torna a mangiare prodotti animali», si lamenta dalle colonne del Guardianl’americana Brenda Carey, che pubblica il periodico Vegan Health and Fitness. Invece, «essere vegani è una filosofia di vita», spiega l’ex calciatore Neil Robinson. Significa, soprattutto, non far soffrire gli animali. È la filosofia alla base della pubblicità di «GoVeganWorld.com», che è tornata a invadere i quotidiani britannici dopo il via libera del Garante: a piena pagina la faccia di una mucca, dietro un filo spinato, e il titolo «Il latte umano è un mito». La Silicon Valley, spiega il Times, ha subito intuito il business: la start up Impossible Foods, sostenuta da Bill Gates, ora vende grandi burger succulenti, con tanto di sangue che cola, ma prodotti da piante; ed Eric Schmidt, presidente di Alphabet, società cui fa capo Google, ha definito le «proteine alternative» (carne finta e latte di soia) uno dei sei più importanti trend innovativi al mondo.
Il paradiso vegano
Nel 2067, nel paradiso vegano immaginato da Amstell, gli anziani seguono sedute psicoterapiche di gruppo per superare la vergogna del passato. Una strepitosa Linda Bassett (mostro sacro del teatro britannico, attrice in Calendar Girls) passa la palla e a turno ognuno confessa il suo reato: «Ho mangiato Camembert, parmigiano, Edammer…».
Fonte: Corriere della Sera