Negli ultimi cinque anni sono cresciuti del 33,3% i posti di lavoro nella filiera del cibo Made in Italy, con un incremento quadruplo rispetto al dato generale dell’intera economia ma che è ora minacciato dalle nuove guerre commerciali a partire dai dazi del presidente americano Donald Trump che dopo la Ciña potrebbero colpire l’Europa con l’awio ufficiale dell’indagine da parte del dipartimento del commercio statunitense. È quanto emerge dal rapporto «II Valore della filiera italiana del cibo» di Coldiretti e Filiera Italia presentato al Forum di Tuttofood a Milano dal presidente del Censis Giuseppe De Rita con la presenza, tra gli altri, del premier Giuseppe Conte, del presidente di Coldiretti Ettore Prandini e del consigliere delegato Filiera Italia Luigi Scordamaglia.
In un quinquennio il numero degli occupati tra agricoltura e industria alimentare è passato da 980mila a 1,3 milioni, grazie alla capacità del settore di intercettare la nuova do manda globale di alta qualità e tipicità nell’alimentare ma anche di interpretare l’attenzione alla sostenibilità sociale e ambientale. Ma il numero diventa molto più elevato se si considerano anche gli addetti della distribuzione commerciale e tutto il settore della ristorazione. È il segno che la filiera ha saputo, meglio di altri, ristrutturarsi nel post-crisi, ridisegnando la sua composizione interna e potenziando la propria capacità sia produttiva sia di creare nuove opportunità lavorative. Lo dimostra, in primis, il boom fatto registrare dalle esportazioni agroalimentari che dal 2008 ad oggi sono salite da 23,6 miliardi a 41,8 miliardi di euro, con un aumento record del 47,8% (contro il +16,5% del totale dell’economia). Crescita peraltro che continua perché nel gennaio 2019, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente il valore delle esportazioni della filiera è pari a 3,1 miliardi, +3,6% rispetto al gennaio del 2018, mentre il tota le economia fa +2,2%. Gli incrementi dell’export agroalimentare – spiega lo studio di Coldiretti e Filiera Italia – coinvolgono le principali aree italiane, incluse quelle meridionali poiché nel 2008-2018 le regioni del Nord segnano +50,7% (Piemonte +51,9%, Veneto +68,5%), quelle del Centro +49,6% (Emilia Romagna +50,8%, Umbria + 68,1 %, Lazio + 51,7%), ed il Meridione +35,6% (Sicilia+46,3%, Calabria +40,2%, Puglia +36,9%, Molise+114,2%). Nella feroce selezione degli anni successivi alla grande crisi del 2008, la filiera del cibo e i suoi protagonisti ne sono usciti dunque come uno dei più importanti motori potenziali di nuova crescita, anche per le regioni meridionali tradizionalmente più lente. In testa alla classifica dei più esportati si piazza il vino, con un valore di 6,2 miliardi e una crescita del 56,9%, ma spiccano anche i risultati ottenuti nel decennio da prodotti italiani come gli agrumi (+89,5%), latte e formaggi (+82,3%), car- ni e salumi (+70,2%). I principali paesi di destinazione dei prodotti italiani sono la Germania (6,9 miliardi di euro, +25,6% dal 2008), la Francia (4,7 miliardi di euro, +44,4%), gli Stati Uniti (4,1 miliardi di euro, +73,9%), il Regno Unito (3,4 miliardi di euro, +30,2%), la Spagna (1,6 miliardi di euro, +32,7%), la Svizzera (1,5 miliardi di euro,+28,1%).
Fonte: Il tempo