Guidonia, 22 novembre 2013. Con l’arrivo dell’autunno e i primi freddi, giungono anche i primi mali di stagione. Ma per difenderci da raffreddori e influenze la natura ci regala frutti tanto buoni quanto preziosi. Sono le arance, che, grazie alle vitamine e ai sali minerali in esse contenute, contribuiscono a rafforzare le difese immunitarie. Alcune varietà sono naturalmente più dolci e quasi prive di acidità, per questo piacciono anche ai bambini. Quindi perché non approfittarne? Magari cominciando con delle spremute già a colazione.
L’arancia è un “agrume”, ossia un frutto dalla buccia rugosa, diviso in spicchi e di sapore acido. Esistono arance amare e dolci, quest’ultime adatte alla produzione di frutti per il consumo fresco. L’arancio è una pianta originaria della Cina, dell’Indocina e di altri paesi del Sudest asiatico, diffusasi in seguito nel bacino del Mediterraneo ed introdotta in America da Cristoforo Colombo. L’Italia è un paese fortemente produttivo, specialmente in regioni quali la Sicilia (per il 60%) e la Calabria (al 20%), assieme a Spagna ed Africa settentrionale.
Le arance bionde a frutto ombelicato si trovano da dicembre fino a marzo-aprile; quelle bionde senza ombelico tra aprile-giugno, le pigmentate da metà dicembre fino a febbraio-marzo.
Le varietà che appartengono a questa specie si dividono in quattro gruppi: bionde a frutto ombelicato tipo Navel (polpa chiara, succo dolce, apirene, per il consumo fresco); bionde a frutto non ombelicato tipo Valencia (“cultivar”- differenti varietà coltivate - più diffusa al mondo, con pochi semi e poiché ricca in succo, valida sia per il consumo fresco che per i succhi); arance pigmentate tipiche dell’areale siciliano, tipo Tarocco (più importante cultivar pigmentata, con frutti succosi ed apireni), Moro (polpa quasi nera per l’elevata quantità di pigmenti) e Sanguinello (ricca in semi); arance tipo Vaniglia (con frutti a bassissimo tenore di acidità, usati per il taglio di succhi molto acidi).
La scelta deve ricadere su arance pesanti, con buccia sottile ed attaccata alla polpa. Se si conservano in un luogo fresco si mantengono in ottime condizioni per una settimana.
La vitamina C ed i flavonoidi, contenuti nel frutto, sono immunostimolanti (elementi preziosi per aumentare la resistenza dell’organismo alle infezioni) ed utili per rafforzare i capillari venosi. Le arance sono inoltre utili all’assorbimento del ferro. Studi recenti accreditano la possibilità, che chi consuma arance ed altri agrumi con maggior frequenza, si riveli meno esposto degli altri al pericolo dei tumori. Tra l’altro l’arancia è ricca in pectina (fibra solubile, che riduce il colesterolo, soprattutto l’“LDL”, il più nocivo), alla quale si riconosce un’efficacia nel ridurre i tassi di colesterolo nel sangue. Secondo il giudizio di alcuni nutrizionisti, consumando le arance lontano dai pasti, queste sarebbero più digeribili.
Guidonia, 17 novembre 2014. Il 16 novembre 2010, l’Unesco ha iscritto la Dieta Mediterranea nella lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell'Umanità. La Dieta mediterranea è un modello nutrizionale ispirato ai modelli alimentari tradizionali di sei paesi europei e uno africano del bacino del Mediterraneo: Italia, Grecia, Spagna, Cipro, Croazia, Portogallo e Marocco. Questo modello è stato abbandonato nel periodo del boom economico degli anni sessanta e settanta perché ritenuto troppo povero e poco attraente rispetto ad altri modelli alimentari provenienti in particolare dalla ricca America, ma ora la dieta mediterranea sta sicuramente riconquistando, tra i modelli nutrizionali, l'interesse dei consumatori e sta conoscendo una grande diffusione, specie dopo gli anni novanta, in alcuni paesi americani fra cui l'Argentina, l'Uruguay, alcune zone degli Stati Uniti d'America e in Australia.
Da sempre è noto che nutrirsi in modo sano e corretto aiuti a vivere meglio e più a lungo, ma prima di accreditare questa teoria, alcuni dietologi e nutrizionisti anglosassoni richiedevano dati scientifici oggettivi. E alcuni anni fa questi arrivarono da uno studio pubblicato dal "British Medical Journal", che documentava un esperimento scientifico condotto su 75.000 tra donne e uomini (da sessant'anni in su e in buono stato di salute) di nove Paesi europei che avevano seguito sotto controllo medico la "Dieta mediterranea". Lo studio ha dimostrato una stretta correlazione diretta tra il regime alimentare osservato dalle persone anziane inserite nel "campione" e i tassi di mortalità che hanno fatto registrare. Il gruppo di ricerca di Atene ha esaminato una vasta mole di dati riguardanti stili di vita, malattie, fattori ereditari, regime alimentare delle persone. Elaborando questi dati ha fissato una scala di misurazione dei livelli di adesione dei vari componenti del campione alla "Dieta mediterranea". Ha visto, così, che maggiore era il punteggio raggiunto dai pazienti su tale scala e minore il tasso di mortalità. Secondo l’equipe medica, i soggetti che più degli altri si sono dunque giovati di questo regime alimentare – caratterizzato da alto consumo di frutta, verdura e cereali; da un moderato consumo di latticini e di carne; da consumi medio-alti di pesce e dei tipici grassi insaturi dell'olio di oliva, di bassi consumi di alcoolici e di vini rossi in quest'ambito – sono risultati quelli che vivevano in Spagna e in Grecia. I nessi comportamentali che legherebbero la longevità umana al livello di adesione allo stile di vita mediterraneo (subordinandosi direttamente ad esso) sarebbero così stretti e meccanicamente condizionanti per cui, ad ogni aumento di due punti sulla scala di adesione alla dieta, corrisponderebbe una diminuzione dell'8% dei dati di mortalità! Un'adesione ai criteri della Dieta mediterranea aumentata di 3 e 4 punti garantirebbe, rispettivamente, un tasso di mortalità ridotto di 11 e di 14 punti percentuali! Perciò un uomo sano di 60 anni che segua con regolarità la Dieta mediterranea (e meritevole da 6 e a punti 9 sulla scala di adesione), vivrà in media almeno un anno più di un suo coetaneo incredulo dei benefici di questo regime alimentare, a parità di altri elementi e fattori.
Il "rapporto dieta-longevità" deriva secondo i medici dal fatto che la Dieta mediterranea fornisce forti quantità degli antiossidanti che neutralizzano i danni cellulari causati dai "radicali liberi" derivati dalla ossidazione degli alimenti metabolizzati. La fedeltà ai sapori e agli ingredienti mediterranei (acido oleico nell'olio d'oliva, acidi grassi omega3 nel pesce, licopene nel pomodoro ed in genere nelle fibre vegetali) premia dunque i consumatori, garantendo loro un migliore stato di salute ed aspettative di vita maggiori.
Specie nei paesi ricchi dell'Occidente nei quali non ci sono più la fame né disturbi da sottoalimentazione, i dati epidemiologici risultati dalla ricerca, rilanciano quindi il senso ed il valore delle diete non già tanto come criteri di riduzione del peso corporeo. Bensì, come "modus vivendi" finalizzati alla salute e al benessere in una fase in cui aumentano i disturbi causati dal disordine nutrizionale, dalla sovralimentazione, dagli squilibri alimentari. Malattie come infarto, diabete, ipertensione, ictus, disfunzioni circolatorie, coronariche, osteoarticolari per arrivare ai tumori sono legate strettamente a fattori dietetici. Inoltre, il vitto oggi attiva fattori legati alla psiche e ai rapporti con se stessi, con la famiglie, con gli altri. Così il cibo diventa una metafora del nostro esser nemico o alleato della crescita, dello sviluppo, del funzionamento ideale del nostro organismo. In questo senso si deve leggere una contraddizione italiana: mentre ci vantiamo del valore della Dieta mediterranea consumiamo sempre meno ortofrutta. Una volta, questi consumi variavano in base alle regioni. Oggi invece dipendono, invece, dalle abitudini familiari. Alcuni mangiano molta ortofrutta e altri (gli adolescenti e i ragazzi che più ne necessitano) pochissima. Se l'organismo fosse messo in condizione di utilizzare nel miglior modo l'apporto nutrizionale, riuscirebbe a misurare i consumi energetici e formazioni di riserve adipose. In fondo, per evitare le patologie e rimanere in salute potrebbe bastare controllare quel che si fa in tavola. E se i dati dicono che in Italia si mangia meno di venti anni fa, ma la gente in sovrappeso è maggioranza (le donne per il 5% di più), bisogna evitare i chili di troppo perché possono indurre disturbi al metabolismo, malattie cardiovascolari, dolori articolari. Quanto alle diete fai da te, che assicurano senza alcun sacrificio una linea perfetta in poco tempo rischiando però di compromettere la salute, meglio di gran lunga la Dieta mediterranea: il consumo di frutta e verdura allunga la vita migliorandone la qualità.
Alimenti principali della Dieta Mediterranea
Cereali
Un posto privilegiato nella Dieta Mediterranea è occupato dai cereali integrali. Al gruppo dei cereali appartengono i seguenti alimenti: pasta, riso, mais, orzo e farro. Cereali meno comuni nella tradizione culinaria l'avena, la quinoa ed il miglio. Il consumo di cereali integrali sarebbe da preferire. Il processo di raffinazione impoverisce i cereali di vitamine, sali minerali e fibre. I cereali sono per lo più fonte di carboidrati complessi, che, in base alla Dieta Mediterranea, dovrebbero fornire il 55-60% delle calorie giornaliere. Secondo il modello della Dieta Mediterranea le porzioni di riferimento nel consumo di cereali dovrebbero essere:
• 80 g per la pasta secca e per il riso. Mentre la porzione di riferimento per la pasta all’uovo fresca è di 120 g. Per i primi piatti in brodo, invece, 40 grammi per la pasta secca e il riso e di 60 grammi per quella all’uovo fresca. Il primo piatto deve essere sempre l’inizio per un pasto? No. Tra pasta e riso bisognerebbe mangiare il primo circa 8 volte alla settimana tra pranzo e cena. Le altre volte si potrebbe consumare un piatto unico abbinato ad un contorno. Il piatto unico è caratterizzato dall’unione del primo piatto col secondo (pasta e fagioli, pasta col ragù, gnocchi di patate al ragù, pizza con mozzarella e pomodoro).
• 50 g di pane. Anche nel caso del pane il consumo dovrebbe essere limitato a 1-2 volte al giorno.
Legumi
La loro funzione è triplice, giacché la loro composizione vede una discreta presenza di carboidrati a lento assorbimento (basso indice glicemico), ma soprattutto, se comparata con altri cibi vegetali, una corposa presenza di proteine. Una dieta equilibrata che comprenda l'associazione di cereali e legumi è completa dal punto di vista proteico, in quanto fornisce all'organismo tutto lo spettro amminoacidico necessario.
I legumi hanno anche il merito di apportare discrete quantità di sali minerali, alcune vitamine e fibra alimentare.
Frutta fresca e verdura
È ormai consolidata l'opinione circa la quale è opportuno consumare quotidianamente la cifra ideale di 5 porzioni di frutta e verdura. Indubbi sono i vantaggi: questi alimenti generano un senso di sazietà a fronte di un ridotto potere calorico. Da sottolineare anche l'ingente quantità d'acqua che questi alimenti contengono, molto spesso superiore al 90% (nella frutta), caratteristica che dovrebbe tendere ad aumentare il consumo di questi cibi a maggior ragione nelle calde giornate estive mediterranee, per integrare adeguatamente i liquidi perduti.
Molti frutti forniscono un imprescindibile e insostituibile contributo di vitamina C, una vitamina idrosolubile fondamentale per molteplici funzioni.
Si raccomanda di consumare preferibilmente frutta di stagione.
Ortaggi
Patate.
• 200 grammi di patate (pesate a crudo e senza buccia). Le patate andrebbero portate a tavola circa 2 volte alla settimana, come alimento o in preparazioni come ad esempio gli gnocchi.
Carne e pesce
Generalmente la dieta mediterranea tende a consigliare un consumo di pesce più largo rispetto a quello della carne. Il pesce, d'altra parte, non ha potuto restare escluso dalle tavole mediterranee, proprio per la presenza dell'ambiente marino che ha plasmato e determinato la storia dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Gode principalmente di ottime quantità proteiche, di acidi grassi essenziali e alcuni sali minerali. Quanto alla carne, si tende a preferire quella bianca (pollo, tacchino, coniglio) a quella rossa. Ricca in proteine, vitamine e sali minerali, la componente lipidica (grassi) dipende fortemente dall'animale di provenienza e anche dalla parte dell'animale.
Uova e latticini
Questi alimenti sono famosi per l'apporto di proteine in quantità, e per le qualità. Stando alle scale del valore biologico delle proteine dei singoli alimenti, l'uovo ha una posizione privilegiata, seconda soltanto al siero del latte. È doveroso differenziare le due componenti dell'uovo: il tuorlo (contenente grassi e colesterolo, ma anche vitamine e sali minerali) e l'albume (contenente proteine). Il latte è fonte di sali minerali, di vitamine e di proteine.
Dolci
I dolci sono poco presenti nella dieta mediterranea ma essa, essendo una dieta variata, ne consente l'utilizzo una volta alla settimana.
Guidonia, 30 gennaio 2015. Le numerose varietà (una novantina) presenti sul mercato e la lunga stagionalità produttiva, fanno del carciofo, l’ingrediente principe delle cucine di molte regioni italiane. Non tutte le varietà varcano i confini di una regione, mentre alcune sono più conosciute di altre e vengono commercializzate in tutto il Paese. L’Italia, a livello di produzione, detiene il primato mondiale: le zone di maggiore coltivazione sono la Sicilia, la Sardegna e la Puglia. Due sole varietà hanno ottenuto l’indicazione Geografica Protetta (IGP) “il Tondo di Paestum” e la Mammola romanesca” mentre, al carciofo “Spinoso di Sardegna” è stata riconosciuta la Denominazione di Origine Protetta (DOP).
E proprio di quest’ultimo, oggi andiamo a parlare. Nel Centro Agroalimentare Roma, tra il romanesco sardo, il romanesco Apollo, il violetto senza spine, il violetto Tema e il romanesco laziale a mazzi che, in questo periodo vengono commercializzati, troviamo proprio il (forse) meno conosciuto ma molto prelibato Spinoso di Sardegna.
In lingua sarda, il carciofo si chiama in modo diverso a seconda delle zone e così abbiamo in campidano; Canciofa; Logudoro: Cartzofa; Gallura: Scalciofa; Sassari: Iscaltzofa.
La coltivazione del carciofo in Sardegna è di antica tradizione anche se non si hanno notizie certe sulla sua introduzione e diffusione nell’isola. Testimonianze scritte della sua presenza sono riscontrabili nel trattato del nobile sassarese don Andrea Manca dell’Arca, che nella sua opera “Agricoltura di Sardegna” pubblicata nel 1780, testualmente riporta: “sono i cardi e i carciofi grati allo stomaco, onde si reputa il cardo una delle piante più utili dell’orto. In Sardegna è l’essere cardo la pianta e il carciofo fiore e frutto che ella produce”. Inoltre Vittorio Angius, nel suo “Dizionario geografico”, nel descrivere l’economia agricola serramannese della prima metà dell’ottocento cita il carciofo come “fonte di lucro per i coloni degli orti”. In tutti i casi la specie fu inizialmente confinata negli orti familiari. La coltivazione vera e propria la possiamo datare intorno al 1920 soprattutto nelle zone costiere della provincia di Sassari e di Cagliari, la cui presenza di porti favoriva i collegamenti ed i commerci con la penisola.
Tradizionalmente la coltura veniva condotta seguendo il ciclo naturale della pianta; una svolta importante fu l’individuazione nelle campagne di Bosa, di un ecotipo spinoso che consentiva di ottenere produzioni anticipate in autunno risvegliando in estate la carciofaia con l’intervento dell’irrigazione. Questo ecotipo coltivato nel sassarese e venduto anche al mercato di Genova, fu introdotto nel campidano di Cagliari negli anni 1942-43. Successivamente gli agricoltori, attraverso la selezione massale lo hanno migliorato ottenendo l’attuale carciofo Spino di Sardegna.
Sin dai primi decenni del 900 si assiste poi, ad un importante rinnovamento dell’agricoltura isolana e si passa, anche per il carciofo, da una produzione destinata all’autoconsumo ad una produzione specializzata, orientata verso i mercati di consumo nazionali ed internazionali. È in questo periodo di grande evoluzione commerciale che si diffonde la notorietà del “Carciofo Spinoso di Sardegna”, infatti “nei mercati della penisola il carciofo non veniva certamente commercializzato in modo indistinto e anonimo; “l’essere di Sardegna” rappresentava di fatto una certificazione di qualità e origine sin dai primi anni del '900 gradita e richiesta dai consumatori”. (Fonti: Ferrovie dello Stato, movimentazione merci autorità portuali della Sardegna, movimentazione merci mercati ortofrutticoli del nord-centro Italia).
L’origine storica del prodotto ha portato il consumatore ad identificare nel corso dei tempi, il Carciofo Spinoso di Sardegna con l’immagine della Sardegna stessa tanto che nel linguaggio comune si parla di “Carciofo Spinoso di Sardegna” nei menù di diversi ristoranti, nelle etichette aziendali e nei documenti commerciali; da qui nasce l’esigenza di formalizzare l’uso consolidato di tale denominazione, in modo da rendere indissolubile il legame fra le caratteristiche del prodotto ed il territorio sardo, tutelando i consumatori ed i produttori da eventuali utilizzi scorretti ed indebiti.
La coltivazione del carciofo spinoso sardo quindi risale ai primi anni del 1900 ma trova il suo periodo di maggior sviluppo a fine anni sessanta quando si ha un bum di esportazioni del carciofo verso i mercati più ricchi del nord Italia come Milano, Genova e Torino agevolati anche dai trasporti ferroviari e navali.
Negli anni 60 e 70 le spedizioni verso i mercati del nord venivano fatte con grosse ceste di legno di castagno contenenti dai due ai trecento pezzi. La coltura si dimostrò in quel periodo particolarmente redditizia; per avere un idea dei prezzi agli inizi degli anni 60 un carciofo nei mesi di Gennaio e Febbraio riusciva a spuntare anche 40 Lire a pezzo. Per avere un metro di paragone, basti spere che la giornata di un operario costava 400 Lire e, facendo le dovute proporzioni, un carciofo al giorno d’oggi dovrebbe essere pagato almeno a € 4,00 per capolino!
Gli effetti benefici dello Spinoso di Sardegna sulla salute.
Il carciofo Spinoso di Sardegna è uno tra gli ortaggi a più alto valore nutritivo.
La sua composizione chimica in parte può variare a seconda dell’epoca di raccolta e dell’ambiente di coltivazione.
In generale il carciofo è un discreto apportatore di vitamina A, C, PP, B2 di diversi Sali minerali e di potassio, calcio, sodio e ferro. Tra i componenti caratteristici vi è l’insulina, uno zucchero polisaccaride localizzato in particolare nel cuore del carciofo, nei gambi e nelle radici ed il cui valore tende a crescere con le basse temperature. L’insulina non condiziona l'indice glicemico per cui il carciofo può essere tranquillamente consumato dai diabetici. Il contenuto percentuale di fibra totale e particolarmente elevato e ben ripartito tra fibra solubile e insolubile.
Una peculiarità di grande interesse salutistico sono i composti fenolici. Tra essi spicca la cinarina presente soprattutto nelle foglie e negli steli e in minor misura nelle parti edibili (responsabile del sapore amaro del carciofo). Sono stati identificati altri composti fenolici quali acido caffeico, acido clorogenico, apigeina e quercitina e flavonoidi quali la luteolina riscontrabili nel capolino e nelle foglie. Queste sostanze sono responsabili di gran parte degli effetti salutistici del carciofo. Il carciofo ha azione tonificante e disintossicante ed epatoprottetiva.
La cinarina, sostanza amara contenuta nelle foglie, nello stelo ed in minima parte nel capolino, svolge un’azione colagoga, cioè favorisce la contrazione della cistifellea e quindi la secrezione biliare e rende la bile stessa più fluida. Inoltre questa sostanza esercita un’azione antidispeptica, cioè riduce le irregolarità digestive. In pazienti con patologia epatica il carciofo riduce l’ittero ed abbassa la quantità dei tassi azotati e dei grassi presenti nel sangue. Riduce la frazione LDL del colesterolo (colesterolo cattivo) e i trigliceridi.
La presenza di flavonoidi e terpeni garantisce la protezione delle cellule epatiche. L'ottimo tenore della fibra presente, pari a 5,5% sulla parte edibile, esplica un’azione positiva contro la stitichezza
Consigli Pratici
In genere il carciofo è uno degli ortaggi più prelibati ma anche più costosi, per cui è importante appurarne la freschezza al momento dell’acquisto. In particolare, la varietà spinoso sardo deve presentare il capolino sodo al tatto, ben serrato in punta, con le foglie non appassite, di un bel colore brillante e strette fra loro; spezzando una di loro, il rumore secco è indice di buona qualità. Il gambo deve essere rigido e tagliato di fresco. Il carciofo, in cucina, si presta a i più s variati utilizzi. L’operazione di scarto e mondatura varia soprattutto in relazione al fatto che debba essere consumato crudo o cotto. In tutti i casi vanno sempre asportate le foglie più esterne dure e coriacee, sino a trovare quelle di colore più chiaro e di consistenza più tenera. A seconda dell’utilizzo, il gambo viene eliminato interamente o solo la parte finale (2-3 cm). Nel consumo dello spinoso sardo a crudo in pinzimonio, il gambo, molto gustoso, viene utilizzato quasi interamente, avendo cura di asportarne con un coltello le fibre esterne dure e amarognole. Per l’utilizzo del cuore del carciofo è fondamentale l’asportazione della peluria interna chiamata barba o fieno (che tuttavia è scarsamente presente nello spinoso sardo). In attesa della cottura il carciofo, dopo essere stato tagliato, deve essere immerso in acqua acidulata con abbondante succo di limone per evitare che, ossidandosi, annerisca. Nelle operazioni di mondatura e di pulizia è sempre consigliabile l’uso dei guanti, in quanto i carciofi contengono sostanze che anneriscono le mani.
Informazioni ottenute grazie al contributo del Consorzio di Tutela del Carciofo Spinoso di Sardegna D.O.P.